Di Anton Čechov
Adattamento Letizia Russo
E con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Nina Torresi, Alessandra Costanzo, Andrea Caimmi, Nina Raja
Scene Marta Crisolini Malatesta
Costumi Milena Mancini e Concetta Iannelli
Regia Vinicio Marchioni
Produzione Khora.teatro
In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Ritratto Vinicio Marchioni, Nicola Cariati
Il 26 ottobre del 1899 Anton Čechov fa rappresentare al Teatro d’arte di Mosca Zio Vanja, oggi considerato uno dei drammi più importanti dello scrittore di Taganrog.
Protagonista dei quattro atti originali è Ivan Petrovic Voiniskij, zio Vanja appunto, che per anni ha amministrato con scrupolo e abnegazione la tenuta della nipote Sonja versandone i redditi al cognato, il professor Serebrjakov, vedovo di sua sorella e padre di Sonja. Unica amicizia nella grigia esistenza di Vanja e di Sonja è quella del medico Astrov, amato senza speranza da Sonja. Per il resto sono tutti devoti al professore, che credono un genio. Serebrjakov si stabilisce con i due, insieme alla seconda moglie, Elena. Le illusioni sono presto distrutte: alla rivelazione che l’illustre professore è solo un mediocre sfacciatamente ingrato, zio Vanja sembra ribellarsi: in un momento d’ira arriva a sparargli, senza colpirlo. Nemmeno questo gesto estremo modifica il destino di Vanja e di Sonja, che riprendono la loro vita rassegnata e dimessa, sempre inviando le rendite della tenuta al professore tornato in città con la moglie.
Lo spettacolo nell’adattamento di Letizia Russo (da un’idea di Vinicio Marchioni e Milena Mancini), in assoluto rispetto delle dinamiche tra i personaggi e dei dialoghi del testo classico, fa perno su precise note di contemporaneità della scrittura cecoviana per esaltarne la straordinaria attualità creativa. La regia di Vinicio Marchioni, attorniato da un cast di comprovata qualità artistica e professionale, prende le mosse da un profondo studio del meccanismo drammaturgico dell’originale, per restituirne pienamente il dovuto spessore culturale.
Zio Vanja è uno specchio in cui possiamo vedere riflessa la nostra incapacità (o non volontà) di essere felici. Può essere una visione sgradevole, perché è duro fissare negli occhi la propria anima. Ma gli specchi hanno un lato salutare: se quello che appare non ci piace, possiamo almeno tentare di cambiarlo. In fondo è a questo che Čechov ci invita: capire quanto sia meschina l’esistenza borghese, così priva di slanci e di entusiasmi, così mediocre e vuota, per inventarsene una diversa. E uscire dalla gabbia che ci siamo fabbricati per diventare uomini migliori